05 agosto 2019

MiFID II e investimenti a basso costo: i fattori di spinta per gli indicizzati

Le gestioni passive sono favorite nell’attuale contesto, dopo la crescita significativa degli investimenti indicizzati registrata nell’ultimo decennio, secondo Vanguard: il costo è una variabile fondamentale nel determinare la capacità di un investimento di produrre nel futuro extra rendimento

“Quella del 2019 sarà un’estate calda per intermediari e consulenti, che, in linea con quanto previsto da MiFID II, dovranno fornire un rendiconto preciso, dettagliato, chiaro e in valore assoluto, non più solo in percentuale rispetto all’investimento, dei costi applicati ai risparmiatori italiani, che finalmente potranno disporre di un parametro oggettivo per valutare la qualità del servizio ricevuto in termini di costi/benefici.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione, poiché proprio la variabile del costo è fondamentale nel determinare la capacità di un investimento di produrre nel futuro extra rendimento, consentendo ai risparmiatori di effettuare delle scelte più consapevoli tra gestione attiva e passiva. Il costo, infatti, è l’unico elemento certo che può essere controllato ex ante quando si effettua un investimento e non la sua performance”, sottolinea Simone Rosti, responsabile per l’Italia di Vanguard.

 

La ricerca di Vanguard, Investimenti a basso costo: i fattori di spinta per gli indicizzati
Nell’ambito della ricerca “Il caso degli investimenti indicizzati a basso costo”, Vanguard sottolinea come le gestioni passive siano favorite nell’attuale contesto, dopo la crescita significativa degli investimenti indicizzati registrata nell’ultimo decennio.
A rendere interessanti i fondi indicizzati in qualsiasi fase di mercato (rialzista, ribassista o di forte volatilità) sono principalmente due fattori:

1)         La relazione inversa tra costi degli investimenti ed extra rendimenti

Nel lungo periodo, la correlazione esistente tra i costi dei fondi, sia attivi sia passivi, e la loro capacità di generare extra performance è negativa. Pertanto, quanto maggiori sono i costi degli investimenti, tanto minori sono le probabilità che questi possano generare una sovraperformance. Ciò spiega il motivo della crescita significativa che i fondi indicizzati a basso costo hanno avuto negli ultimi anni.

Le evidenze dimostrano che negli ultimi 15 anni, il numero delle gestioni attive e passive, sia azionarie sia obbligazionarie, che hanno generato delle sottoperformance rispetto al mercato risulta di gran lunga superiore a quello delle gestioni che, invece, hanno generato delle sovraperformance (vedi grafici seguenti):

Investendo in fondi a basso costo, gli investitori hanno minori possibilità di generare delle sottoperformance, e viceversa.

2)         Il costo è l’elemento indicatore dell’extra rendimento di un investimento, non le performance passate

È proprio sull’assunto della relazione inversa tra costi degli investimenti ed extra rendimenti che sono state sviluppate le ricerche che dimostrano come un basso impatto dei costi degli investimenti possa essere un valido elemento per prevederne la loro capacità di generare delle sovraperformance rispetto al mercato, piuttosto che le loro performance passate. Normalmente, infatti, gli investitori che si affidano alla gestione attiva effettuano le loro scelte puntando sui fondi che hanno ottenuto sovraperformance in passato, pensando che gli stessi risultati possano essere replicati anche in futuro. Tuttavia, gli studi rivelano come la persistenza della capacità dei singoli gestori di generare una sovraperformance sia veramente bassa. Partendo dagli extra rendimenti dei fondi che si sono posizionati nei primi quintili nel periodo compreso tra il 2009 e il 2013, e analizzando gli extra rendimenti ottenuti dagli stessi nei cinque anni successivi (dal 2014 al 2018), si osserva infatti che non tutti sono stati in grado di confermare gli stessi livelli di extra rendimento (vedi tabella sottostante).

Dalla tabella emerge, per esempio, che dei 619 fondi che si sono piazzati nel primo quintile nel periodo 2009/2013, soltanto il 27,1% è stato in grado di confermare lo stesso risultato nel quinquennio successivo. Il 53,2%, invece, si è piazzato in quintili inferiori, mentre il 19,7% è stato oggetto di fusione e liquidazione. Dei 622 fondi che, invece, si sono piazzati nel quinto quintile nel periodo 2009/2013, il 42,9% è stato in grado nei cinque anni successivi di migliorare il proprio posizionamento, mentre il 25,2% è rimasto stabile. Il 31,8%, invece, è stato oggetto di fusione o liquidazione.

Conclusioni
“Quasi sempre, nella vita reale, più si paga per qualcosa e migliore è la qualità del prodotto che ci si aspetta di ottenere. Per quanto riguarda gli investimenti, però, la situazione è diversa, perché non vi è motivo di ritenere che pagando di più si avrà una performance superiore. Ogni euro che si paga in commissioni di gestione o di negoziazione è semplicemente un euro in meno di rendimento potenziale. Ed esattamente come per i rendimenti, gli effetti dei costi si assommano nel tempo, a tutto svantaggio del raggiungimento degli obiettivi d’investimento”, conclude Rosti.

(articolo a cura di Simone Rosti, responsabile per l’Italia di Vanguard)