A seguito di una tornata elettorale lunga sei settimane, il primo ministro Narendra Modi è riuscito ad assicurarsi un terzo mandato alla guida dello stato indiano. Tuttavia, a differenza di quanto avvenuto nel 2014 e nel 2019, il suo partito, il Bharatiya Janata, non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta in parlamento, indebolendo di fatto il mandato del premier e rendendo il suo percorso di riforme più impervio.
Inizialmente, questo risultato ha sorpreso in negativo i mercati, soprattutto il comparto azionario, tanto che, appena diffusasi la notizia, l’indice di riferimento Msci India ha ceduto più del 5%. Tuttavia, sebbene alcune riforme, come quelle sulla terra e sul lavoro, potrebbero subire delle battute d’arresto, noi di Legal & General Investment Management (LGIM) riteniamo che Modi riuscirà comunque a portare avanti i suoi progetti d’investimento in infrastrutture, a instaurare una politica monetaria più concreta e anche a dare al Paese un maggiore consolidamento dal punto di vista fiscale. Inoltre, non bisogna dimenticare che anche in passato l’India ha avuto governi di coalizione, e questi sono stati in grado di portare comunque dei cambiamenti significativi: uno su tutti, l’apertura al resto del mondo del 1991.
Questi elementi positivi sembrano essere stati colti anche dai mercati, che dopo il repentino calo menzionato in precedenza, sono riusciti a conseguire il rimbalzo altrettanto rapidamente, quando l’attenzione sul Paese è tornata a focalizzarsi sulle prospettive di più lungo periodo. Infatti, i fondamentali indiani restano incoraggianti, alla luce soprattutto della solida crescita che, se dovesse proseguire, potrebbe portare Nuova Dehli a essere la terza economia al mondo entro il 2030.
Una delle maggiori rivoluzioni che sosterrà questo trend di crescita sarà sicuramente l’inserimento dei bond governativi indiani (IGB) all’interno del GBI-EM Global Diversified Index di JPMorgan, un’operazione annunciata lo scorso settembre, che ha avuto ufficialmente inizio dal 28 giugno scorso e che, alla fine, porterà gli IGB a rappresentare il 10% del totale dell’indice, al pari della Cina, nell’arco di 10 mesi. Secondo le nostre stime, un aumento dell’1% al mese potrebbe generare un flusso di capitali complessivo verso il sub continente tra i 30 e i 40 miliardi di dollari.
Questa decisione del colosso finanziario statunitense non è stata presa a caso, ma è frutto del lavoro che la politica locale ha fatto per rendere il mercato del debito indiano in rupie sempre più accessibile agli investitori stranieri. L’esempio più importante è l’emissione dei bond FAR (Fully Accessible Route), ovvero di bond governativi che non presentano limiti massimi alla percentuale investibile dall’estero e sono anche molto più semplici da acquistare. Queste obbligazioni sono state lanciate per la prima volta nel 2020, per un totale di 5 titoli. Questi ultimi però sono passati rapidamente ai 22 titoli odierni, rendendo disponibile per il trading con l’estero un ammontare di 320 miliardi di dollari. La spinta data da JPMorgan si è poi ulteriormente rafforzata nel mese di marzo, quando anche Bloomberg ha annunciato che avrebbe inserito gli IGB in uno dei suoi indici, e più precisamente nel Bloomberg Emerging Market (EM) Local Currency Government Index, a partire dal 2025.
Nel lungo periodo, queste decisioni dovrebbero portare sempre più investitori stranieri a investire nelle obbligazioni governative indiane, tanto che si prevede che la quota di debito pubblico in mano a questa categoria di stakeholder dovrebbe crescere dal 2% al 9% entro il 2030, generando ulteriori grandi afflussi di capitali.
Ma perché gli investitori dovrebbero puntare sull’India?
Tra le possibili risposte a questa domanda c’è l’elemento “first mover advantage”, ovvero la possibilità di esporsi a un mercato prima che un’ondata di liquidità lo invada riducendone gli spread, ma anche, molto più semplicemente, il voler incrementare la propria posizione passiva, inserendo dei prodotti finanziari con rating Investment grade BBB- e con un rendimento che si è sempre attestato attorno al 7%.
In termini di esposizione, un investimento diretto in IGB potrebbe interessare coloro che desiderano avere più controllo sulla selezione delle obbligazioni in portafoglio, mentre, sul lato delle soluzioni indicizzate, gli Etf potrebbero rappresentare una soluzione attraente in termini di costi e anche di tassazione. Per questo LGIM ha deciso di quotare un suo Etf sugli IGB (Bbg code: TIGA IM, ndr.) ormai più di due anni e mezzo fa, il quale offre ai suoi clienti anche:
• un accesso semplificato a un mercato fortemente regolamentato;
• il non dover gestire direttamente il cambio con una valuta straniera dall’uso molto limitato;
• il non doversi rivolgere a broker locali e il non doversi sobbarcare maggiori commissioni;
• un tasso Wht ridotto, grazie alla domiciliazione in Irlanda (10% vs 20% standard), un fattore che permette anche di non dover pagare imposte sul guadagno da capitale, che altrove può essere tassato fino al 30%.
In ogni caso, indipendentemente da come gli investitori sceglieranno di esporvisi, l’inserimento degli IGB nei maggiori indici globali sul reddito fisso dimostrano come l’India sia sempre più riconosciuta come un’economia leader a livello internazionale. Infine, è bene ricordare come tutti gli investimenti in mercati emergenti comportino dei rischi, soprattutto in un contesto macroeconomico fragile; pertanto, le potenzialità dei bond governativi indiani appena descritte testimoniano anche quanto sia importante adottare un approccio di selezione attiva quando si investe in queste asset class.
(Articolo a cura di Giancarlo Sandrin, Head of Wholesale Distribution for Southern Europe di LGIM)