Occasionalmente, un evento di grande o grandissima portata colpisce i mercati. Le scorse settimane è stato il caso delle elezioni negli Stati Uniti. Il Partito Repubblicano, guidato dal presidente eletto Donald Trump, ha conquistato a Washington un livello di potere senza precedenti nella storia statunitense del dopoguerra. Nel 2025, i repubblicani controlleranno la Casa Bianca, il Senato e la Camera dei Rappresentanti (anche se la maggioranza alla Camera è ancora da confermare, è quasi certa).
Gli esponenti del partito occupano già una posizione prevalente nella Corte Suprema e hanno una solida presenza nella magistratura federale. Inoltre, è altamente probabile che i funzionari da esso nominati popoleranno le agenzie che costituiscono l'apparato regolatorio federale in modo più capillare e incisivo di quanto non sia mai avvenuto in passato. Una tale predominanza politica è rara.
La storia suggerisce che, quando un partito detiene un controllo così vasto, si verificano grandi cambiamenti. Nel 1933, il presidente Roosevelt sfruttò poteri estesi per introdurre il New Deal. Nel 1965, il presidente Johnson collaborò con le maggioranze al Congresso per apportare i cambiamenti più significativi nelle politiche pubbliche dai tempi della Guerra Civile, introducendo i programmi Medicare e Medicaid e approvando leggi fondamentali come il Voting Rights Act e il Civil Rights Act. Nessun presidente, nemmeno Ronald Reagan, ha mai avuto l'opportunità di attuare la propria agenda che oggi si presenta al presidente eletto Trump.
Gli investitori dovrebbero tenere conto di questo scenario. Quelle appena concluse non sono state elezioni ordinarie, e le conseguenze per i mercati finanziari e i portafogli d'investimento saranno probabilmente straordinarie.
Azioni Usa: rialzo grazie alla rotazione
L'eliminazione dell'incertezza (principalmente legata a una possibile contestazione dei risultati delle urne) è stata una delle ragioni del rialzo del mercato azionario statunitense. Riteniamo tuttavia che il principale fattore di spinta sia riseduto nel fatto che le imprese statunitensi potranno presto beneficiare di un partito deciso a ridurre le imposte e a deregolamentare ampi settori dell'industria e dei servizi. Il quale, inoltre, potrà attuare il proprio programma senza ostacoli, grazie all'assenza di un'opposizione efficace o di resistenze da parte delle agenzie regolatorie preposte all'implementazione delle politiche.
Nel prossimo semestre, e forse per un periodo più lungo, i listini azionari statunitensi avranno a nostro avviso il potenziale per generare rendimenti a doppia cifra. La crescita economica più robusta e le revisioni al rialzo degli utili derivanti da uno stimolo fiscale (riduzione delle tasse senza corrispondenti tagli alla spesa) e da un incremento degli investimenti aziendali, facilitato da un contesto tributario e regolamentare più favorevole, rappresenteranno i principali motori di sviluppo.
I settori e gli stili più avvantaggiati includeranno azioni Mid e Small cap, titoli Value, combustibili fossili, servizi finanziari e industria farmaceutica.
In breve, il mercato statunitense sperimenterà una rotazione che sposterà l'attenzione da un ristretto gruppo di titoli, principali responsabili dei guadagni degli ultimi anni, verso un insieme più ampio di aziende e settori. E, sebbene il momentum e l'entusiasmo degli investitori tendano spesso a spingere i mercati rialzisti a livelli estremi, riteniamo che questo cambiamento nella leadership di mercato sarà sostenuto da miglioramenti tangibili negli utili. Questo, a nostro avviso, permetterà agli investitori di beneficiare di solidi rendimenti almeno fino alla prima metà del 2025.
Obbligazioni: dalla duration al credito
Al contrario, le prospettive per le obbligazioni appaiono più impegnative e richiederanno agli investitori una selezione accurata delle esposizioni all'interno della classe di attività.
Per capire il motivo, consideriamo il punto di partenza: un'economia statunitense di piena occupazione. È probabile che si verifichi presto un aumento significativo della spesa totale (domanda aggregata) derivante da tagli fiscali e da maggiori investimenti aziendali. Di conseguenza, riteniamo che la Federal Reserve (Fed) non sarà in grado di ridurre i tassi d'interesse tanto quanto avevamo previsto prima dell'inatteso esito elettorale di questa settimana. Una crescita più rapida in un'economia vicina alla piena capacità richiede una certa moderazione monetaria.
Gli investitori hanno già ridimensionato le loro aspettative di ulteriori tagli da parte della Banca centrale, e i rendimenti obbligazionari sono in aumento. Se una crescita più vigorosa, con limiti di capacità raggiunti, dovesse spingere l'inflazione verso l'alto, la Fed non solo rallenterà il suo programma espansivo, ma potrebbe interromperlo del tutto e, nel prossimo anno, trovarsi addirittura nella posizione di alzare i tassi. Questo scenario diventa più probabile se, come promesso, il presidente eletto Trump introdurrà nuovi dazi sulle importazioni o restrizioni all'immigrazione.
Entrambe queste misure comportano shock di offerta negativi, che in un contesto di crescita accelerata porterebbero verosimilmente a un aumento dei prezzi più rapido. Pertanto, riteniamo sia prudente per gli investitori ridurre le esposizioni alle obbligazioni a lungo termine (alla duration o alla sensibilità ai tassi d'interesse). Tuttavia, non tutte le componenti della classe obbligazionaria saranno penalizzate da una crescita economica più forte. Le società con bilanci o flussi di cassa più deboli potrebbero registrare un miglioramento della propria posizione finanziaria, suggerendoci che i mercati del credito a breve termine e i crediti privati offrano ora un'interessante alternativa di reddito rispetto ai titoli governativi e societari a più lunga scadenza.
Dollaro (Usa): forte sotto Trump
La prospettiva di una crescita più sostenuta negli Stati Uniti, di un rialzo dei prezzi azionari e di tassi d'interesse in aumento agirà probabilmente come un richiamo per i capitali esteri verso il Paese.
Se, come ci aspettiamo, i rendimenti statunitensi migliorano rispetto ad altre regioni nella maggior parte delle classi di attività, gli afflussi verso i mercati azionari e obbligazionari pubblici e privati aumenteranno, portando come ovvia conseguenza a un rafforzamento del dollaro.
Fuori dagli Stati Uniti
Le elezioni avranno ripercussioni anche sui mercati globali. Ci aspettiamo reazioni da parte di altri Paesi di fronte ai cambiamenti della politica Usa, in particolare in relazione ai dazi, ma anche a normative che potrebbero incentivare le aziende a valutare il trasferimento negli Stati Uniti.
Tratteremo questi aspetti in maggior dettaglio in articoli futuri. Per ora, riteniamo che il mercato azionario statunitense continuerà a mantenere una posizione di leadership.
Rendimenti più alti, rischi più alti
Gli investitori hanno dunque molti motivi per essere ottimisti sulle prospettive a breve termine dei rendimenti di portafoglio, via via che i prezzi delle attività si adattano alle politiche di alleggerimento fiscale e normativo. Sospettiamo fortemente che i rendimenti nei prossimi mesi saranno robusti e che lo resteranno sufficientemente a lungo affinché gli investitori possano beneficiare dell'"effetto Trump". Detto ciò, ricordiamo che rendimenti elevati sono generalmente accompagnati, prima o poi, da rischi più alti. E, nel quadro che abbiamo descritto, si annidano insidie che gli investitori farebbero bene a considerare e monitorare nei prossimi mesi.
Più l'amministrazione Trump aumenta i dazi, che sia per motivi economici o di sicurezza nazionale, più l'offerta si restringe e i prezzi aumentano, con il rischio di gettare benzina sull'inflazione in un'economia già sotto pressione. L'inasprimento doganale farà inoltre salire il costo dei beni intermedi per alcune industrie (ad esempio, quella manifatturiera), riducendo la loro redditività. Lo stesso vale per l'immigrazione e, potenzialmente, per i rimpatri.
Negli ultimi anni, l'immigrazione ha alimentato in modo determinante la forza lavoro negli Stati Uniti, calmierando il costo della manodopera in diversi settori. I prezzi dei prodotti alimentari potrebbero risultare particolarmente sensibili a variazioni significative nell'offerta di lavoro da parte degli stranieri. Ma, tra tutti i rischi per i mercati, il più preoccupante potrebbe essere un conflitto tra la Casa Bianca e la Fed.
Come detto, l'impatto dell'alleggerimento fiscale e dell'aumento degli investimenti aziendali nei prossimi anni rischia di surriscaldare l'economia, con conseguente crescita dei tassi d'interesse e rafforzamento del dollaro. Si tratta di risultati che pochi presidenti apprezzerebbero, men che meno il presidente Trump. Iniziano già a sorgere timori riguardo a un possibile scontro.
Ad esempio, durante la conferenza stampa dopo la riunione del Federal Open Market Committee di giovedì, il presidente della Fed, Jerome Powell, è stato interrogato sul suo futuro sotto l'amministrazione Trump. Gli attori economici fanno affidamento sulle istituzioni, nessuna delle quali è più importante di una Banca centrale indipendente incaricata di guidare l'economia verso la piena occupazione e la stabilità dei prezzi, da cui si attendono interventi decisi in caso di instabilità finanziaria. I partecipanti al mercato sono fedeli solo ai rendimenti e alle basi su cui questi poggiano. L'ambiziosa agenda emersa dalla schiacciante vittoria repubblicana preannuncia solidi guadagni nel futuro immediato, ma, per mantenerli e prolungarli nel tempo, sarà necessario preservare la fiducia nel fatto che anche le ambizioni più grandi devono rispettare dei limiti.
Gli investitori accolgono con favore una crescita vigorosa, tasse più basse, un mercato imprenditoriale libero e profitti in aumento. Al momento, i mercati stanno abbracciando queste prospettive, e riteniamo che continueranno a farlo almeno ancora per un po'.
(Articolo a cura di Stephen Dover, Chief Market Strategist e Head of Franklin Templeton Institute)