Il Messico è sempre stato un potenziale beneficiario dei dissidi tra Stati Uniti e Cina: è vicino agli Usa, sia da un punto di vista geografico che di sistema politico, ha con loro un accordo commerciale in vigore e proprio come la Cina è un grande polo manifatturiero, tanto che nel 2022 ha sorpassato quest'ultima come principale fornitore di Washington.
Tuttavia, già dal giorno delle elezioni si è capito che un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca avrebbe potuto significare guai per il Paese, e anche per il Canada. Infatti, non sorprende che il tycoon abbia recentemente minacciato di imporre dazi al 25% sulle importazioni da questi due Stati, in quanto l'accordo commerciale menzionato prima dovrà essere ricontrattato nel luglio del 2026 e questa strategia gli permetterebbe di arrivare all'appuntamento in una posizione contrattuale forte.
Inasprire i rapporti commerciali con il Messico ha anche il duplice scopo di colpire la Cina, in quanto, da quando sono stati imposti i primi dazi dai beni importati dal Dragone asiatico, far passare le merci dal Messico è stata la principale soluzione adottata da Pechino per aggirarli.
Ma cosa comporta tutto ciò in termini pratici?
Tra il 2016 e il 2024 le esportazioni verso gli Stati Uniti di tecnologia avanzata dal Messico sono cresciute del 70%, superando la quota di 90 miliardi di dollari. I maggiori incrementi sono stati registrati soprattutto nell'IT, nel Life science, nell'elettronica e nell'aerospaziale; tutti segmenti in cui la nazione latina non gode di un particolare vantaggio competitivo. Inoltre, a questo incremento dell'export di prodotti di fascia alta è corrisposto un aumento delle importazioni, sempre di fascia alta, dalla Cina o da altri Paesi dell'Asia Orientale. Tutti questi dati sembrano confermare quanto visto nei paragrafi precedenti, ovvero che il Messico è diventato il canale attraverso cui i prodotti cinesi riescono a entrare negli Usa aggirando i dazi.
Alla luce di ciò, e considerando che la maggior parte delle esportazioni in questione rientrano nel campo della tecnologia, la possibilità che gli Usa si impegneranno attivamente per tagliare questi ponti è molto alta. Quindi, a questo punto la domanda che i mercati si pongono è se il Messico rivedrà i suoi rapporti commerciali con la Cina per mantenere il suo ruolo di fornitore primario degli Stati Uniti, considerando anche che una stretta comporterebbe anche perdere il valore aggiunto delle rielaborazioni operate prima di spedire oltre la frontiera i prodotti.
Purtroppo, è impossibile sapere oggi quale sarà la risposta, ma si possono comunque stimare le conseguenze che comporterebbe l'inazione. Attualmente, il valore aggiunto appena menzionato corrisponde al 30% del prezzo di vendita; pertanto, se si scorpora la componente del valore aggiunto cinese, il Messico si ritroverebbe a rinunciare fino all'1% del Pil, in caso di ban completo.
Tuttavia, nonostante le difficoltà descritte sopra, noi di LGIM riteniamo che il Messico sia ancora un mercato con delle prospettive di crescita positive. Innanzitutto, è un Paese che continua a perseguire politiche macroeconomiche solide, ha i tassi d'interesse reali più alti dopo il Brasile e prevede di attuare un consolidamento fiscale del 2% nel prossimo anno. Inoltre, anche la riforma giudiziaria non sembra creare grandi preoccupazioni, dato che anche in Polonia sono stati attuati provvedimenti simili e le performance degli asset nazionali non sembrano averne risentito, almeno fin dove il nostro orizzonte ci permette di vedere.
In secondo luogo, bisogna considerare anche la svalutazione del péso, che da aprile ha ceduto il 20%. Questa è sicuramente una cattiva notizia per i consumi interni, ma a livello di esportazioni potrebbe aiutare il Paese a contrastare le tariffe doganali, qualora dovessero essere veramente applicate.
(Articolo a cura di Erik Lueth, Global Emerging Market Economist di Legal & General Investment Management)